Consentitemi di mettere via le lacrime, prima di dire quello che sente il mio cuore, in questi giorni di gloriose cronache che si possono di nuovo raccontare. Era da molto tempo che le aspettavo. Diciamo pure che sono più di quaranta gli anni di speranze e delusioni, dopo la grande primavera e gli ardori del Sessantotto, a cui non è seguita l’estate. Alle speranze di quella primavera è succeduta la grande ingordigia degli insozzatori del Settantasette, pernicioso più di una gelata marzolina. Poi me ne restai tutto il tempo alla finestra, a contare il tempo e le stagioni. I giovani sembravano essersi assopiti sotto i colpi della reazione e l’ammollimento indotto da mamma tivù.
Uno squillo di campane ed il mio cuore è trasalito quando odorai il venticello passeggero ed il risveglio dei giovani dell’Ottantacinque, ma durò poco ed essi mostrarono di essere già contenti di quello che la vita gli donava; ingozzarsi e fottere era fin troppo sufficiente per loro e, quando l’uccello è sazio, più non canta alla ridente primavera. Quindi, niente più. I giovani, delusi da genitori arrovellati nei loro casini ed in mediocri ambizioni, hanno preferito diventare invisibili; scuri nel volto e nell’abbigliamento si sono nascosti nei pub ed hanno vagato in ore antilucane, negandosi alla società, di cui non gliene impipava un fico marcio.
Nel frattempo è accaduto di tutto, contro di loro. A quarant’anni ancora senza lavoro, tutti precari anche sui cinquanta ed oltre; la pensione sarà povera, se avranno una pensione, e non possono sposarsi, non possono mettere su casa, non possono costruirsi una vita, se l’avranno una vita. Il mondo degli adulti ha fagocitato il loro mondo e si è divorato tutto il futuro, mentre i giovani dormivano tra lenzuola disfatte da sesso e bagordi.
Occorre ringraziare la Gelmini, questa protesi di Tremonti, che sta cercando di disarticolare l’università, dopo aver immiserito la scuola pubblica, a tutto vantaggio dei diplomifici alla Cepu. Tenete duro ragazzi, riprendetevi il futuro, il vostro futuro.
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