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RIMBOCCHIAMOCI LE MANICHE

 

     Vi racconterò una storia di tanto tempo fa, così lontana che sembrerà uscita da un sogno. In quei tempi nel partito in cui militavo c’erano molti attivisti senza cultura, che però utilizzavano la partecipazione politica per elevare il proprio essere, la propria coscienza, che si diceva di classe, ma in realtà di quella fede e dei valori perseguiti beneficiava l’intera società. Come oggi ci si gloria di “essere se stessi”, anche se ignoranti, mediocri, viscerali ed egoisti, allora tali militanti incolti, ambivano ad essere altro da sé, superarsi, diventare ogni giorno migliori, emulando i propri dirigenti politici e leggendo o facendosi leggere il giornale.
Dunque il racconto. C’era il congresso sezionale nella mia città e si avvicina a me un giovane del partito, sempre presente in tutte le manifestazioni, per confessarmi il desiderio d’intervenire almeno una volta al congresso, ma non è capace di scrivere l’intervento, sapendo appena leggere e mettere la firma. Io decido di accontentarlo, così lui dichiara in dialetto cosa vorrebbe dire ed io traduco le sue intenzione nello scritto. Alla fine, se ne va via contento col foglietto in mano.
Si apre il congresso e, quando arriva il suo turno, egli si alza e si dirige fiero al tavolo della presidenza. Quindi cominciò a leggere il suo discorso: “I simo se nuti quo cui i gota ciumi dici chi mi puto chielo la mavi ta sida cota go ver nomi…” e mentre egli andava sciorinando lo scritto senza capire, noi avevamo tutti la testa china e soffocavamo le risa per non offendere il compagno; il quale in realtà sembrava non farsi scomporre dall’astrusità della lettura e dalla difficoltà di esprimere il proprio pensiero. Poi ad un certo punto si rimise il foglietto in tasca, ci guardò uno per uno intensamente, costringendoci a rialzare la testa e fare altrettanto, infine disse: “Insomma compagni, rimbocchiamoci le maniche ed andiamo avanti”.

 

 

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