Mentre sembra che i partiti esprimano la massima potestà su tutta la realtà nazionale, con l’occupazione di ogni cosa si muove nel nostro Paese, essi mostrano nel contempo la loro debolezza di giganti dai piedi d’argilla. Lo vediamo in questi giorni. Siamo in piena campagna elettorale ed il maggior movimento non si ha nelle sezioni di partito, ma nei comitati elettorali messi su da candidati alla carica di consigliere comunale. In ogni angolo della città spuntano bandiere e manifesti di bellimbusti colorati, davanti a locali illuminati e messi a nuovo, con tanto di sedie per improbabili riunioni. Qualche solerte aspirante consigliera ha perfino riempito le pareti del proprio comitato con gigantografie di sé e della propria famiglia, in un culto della personalità che non si usava neanche nella Russia di Stalin. Tutto questo crea una vera e propria disgiunzione dei candidati dai partiti e non è raro che durante le votazioni, che nel passato erano momenti di lotta e di festa per tutte le sezioni, queste ultime siano vuote o addirittura chiuse. Ciò, perché ogni cosa si svolge fuori di esse ed il gioco del consenso viene affidato a soggetti che cercano, comunque sia, di assumere potere per sé e non per il partito, pronti in caso di bisogno a fare il salto della quaglia, tanto ci sarà sempre qualche raggruppamento felice di accogliere la nuova disponibilità economica e clientelare. Una situazione questa che ci fa rivivere, ormai senza ritegno, il trasformismo di fine ottocento, quando tanti notabili consideravano la nobile attività di rappresentante del popolo alla stregua di un qualsiasi mestiere, utile solo per accumulare ricchezze, e viaggiavano di partito in partito, in una sorta di cabotaggio politico. Una sola domanda potrebbe interrompere questa inqualificabile giostra: perché tanta gente comune è disposta a spendere migliaia di euro per una piccola carica politica? La risposta datela voi, non a me ma alla vostra coscienza, nel silenzio di una cabina elettorale.