Per richiamare l’attenzione del distratto pubblico televisivo, in molte parti d’Italia vi sono diecine di operai che salgono sui tetti, altri salgono sulla gru, per segnalare che sono ormai più di un milione e mezzo i posti di lavoro persi negli ultimi tre anni. Qualcuno ha pensato meglio di togliersi cento grammi di sangue al giorno, col rischio di morire. Un precario della scuola addirittura si è buttato giù dal quarto piano ed ha fatto notizia più degli altri, sia pure per qualche giorno.
Tre suoi colleghi hanno impiantato un paio di tende sotto il ministero ed hanno cominciato uno sciopero della fame, dal mercoledì fino al sabato, bevendo solo acqua, e subito sono giunti telecamere e giornalisti ad intervistare i due intrepidi lavoratori immolati in rappresentanza dei centosessantamila che hanno perso il posto di lavoro nella scuola. Poi dietro di loro altri si sono avviati sulla strada del digiuno, però a staffetta, tre giorni a testa, così si riduce la spesa domestica del dieci per cento e pure la linea. E tutti gli altri? Ma sono a vedere la televisione, no! Oppure in palestra, a rendere più tonico il proprio corpo o a scuola di ballo o al bar per parlare di calcio. La disperazione è tanta ma l’individualismo pure. Oggi chi lotta fa la propria battaglia non più con gli altri lavoratori, com’era una volta, ma per gli altri. Tre per tremila, cinque per cinquantamila ed un morto per tutti. Del resto, se non si finisce in Tivù neanche si esiste. Anzi, sapete cosa vi dico? Forse sarà meglio rivolgersi al Gabibbo.
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