Chi l’ha detto che non siamo avanguardia nel mondo? Hitler è stato solo un imitatore di Mussolini, essendo andato al potere un decennio più tardi; abbiamo incoronato il primo socialista di destra di tutto il pianeta, che ci ha lasciato tanti figli ora al governo con i post-fascisti e gli xenofobi più estremi; per primi abbiamo trapiantato nel cervello degli uomini il tubo catodico, senza negargli il plasma digitale.
Ma non scherziamo, nemmeno per un attimo! A fronte di un popolo, non bue, ma per larghi tratti ignorante, la storia l’hanno sempre fatta le piccole ma eroiche minoranze: i Mille, i fratelli Bandiera, le cinque giornate di Milano, le quattro giornate di Napoli, il partito clandestino di Gramsci, i partigiani della Resistenza di ogni colore, i giovani delle magliette a strisce e le lotte del ‘68. Quegli uomini, quei giovani, quelle donne non si sono mai chiesti se erano maggioranza o minoranza nel Paese e si batterono per cambiare l’Italia. Di essi bisogna essere tutti fieri. E non dobbiamo aver paura di dare testimonianza o di organizzare la protesta, giacché la politica non è l’arte del possibile, come detta la logica borghese, fatta ora propria da tanta parte della sinistra. La politica è l’arte di rendere possibile l’impossibile.
E dico questo anche se negli ultimi tempi, sempre più spesso, sono le maggioranze ignoranti a fare la nostra storia. Il barese analfabeta che scorreggia in Tivù, il Ministro che rutta dal palco, la divetta isterica dell’Isola, il cafone della Casa del Grande Fratello e i superstiziosi, davvero o per finta, che parlano coi santi o i diavoli, sotto lo sguardo falsamente sbalordito della conduttrice grandi seni. Per non parlare della prostituta marocchina, che non ha avuto bisogno di prendere l’aereo per trovare l’America. Sono questi i nostri idoli quotidiani, i quali ci indicano la strada che, come l’asino, ci sta portando al macello.
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