Una ferrea normativa, vigente già nell’antica Siponto, regolava la cattura delle seppie nella mia città, evitando di far coincidere la pesca delle seppie con quella del bianchetto. Ora i vincoli sono caduti, non solo per la mia città, ma per l’intero mare Adriatico, che piange lacrime di sale perché ormai vede ridotta la sua fauna ben oltre il limite di guardia. Pensate che dallo scorso settembre ad oggi il pescato è diminuito di ben oltre la metà. Scarseggiano i calamari, i polpi, i moscardini, i merluzzi, le sogliole e perfino le alici, mentre le seppie sono completamente scomparse dall’alto Adriatico. Nel nostro mare non soltanto mancano gli esemplari adulti, ma scarseggiano perfino i loro piccoli. Eppure una gran parte della marineria assegna la propria economia alla caccia ai “cicinill”, scarseggiando gli adulti. Ciò vuol dire che le poche specie rimaste non fanno neanche in tempo a deporre le uova e vederle schiudere che già c’è qualche solerte operaio del mare che va a rastrellare i loro piccoli, senza curarsi che tanta sciagurataggine porterà la morte del mare, che pure negli anni ha dato da mangiare a tante famiglie.
La ragione di tutto questo non è solo una pesca troppo intensa, ma anche il fatto che ora le reti vengono appesantite con catene che di fatto arano in fondo, distruggendo l’habitat per la crescita degli avannotti e proibendo alle seppie di deporre sulle alghe le proprie uova.
Ed è assurdo che in questa guerra per dissanguare il nostro mare si ritrovino la maggioranza dei pescatori - che dovrebbero essere i primi a difendere l’allevamento marino - e qualche politico superficiale a vocazione clientelare, che pensa di dare oggi a questi sprovveduti l’uovo, e chi se ne frega se non ci saranno più galline domani!, ignorando che questa strage degli innocenti sarà anche la nostra strage. Il mare, infatti, come un campo agricolo, va coltivato con pazienza e rispettato; per questo, quando è sfinito, occorre farlo riposare, e non solo ad agosto, così chiaramente insufficiente, ma mandandolo in ferie almeno tre mesi l’anno, per consentirgli di riprendersi davvero. I primi interessati a far tornare nel nostro mare vongole, seppie e triglie dovrebbero essere proprio i pescatori, i quali debbono smettere di pensare che “se non lo spopolo io il mare, ci sarà qualche altro che lo farà al posto mio”, perché tale refrain irragionevole ed egoista ci porterà, e forse ci ha già portato, alla rovina.
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