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CEMENTOCITTĄ

 

 

Fatemi parlare per una volta della mia città, giacché facendolo parlerò anche della vostra. C’era una volta a Manfredonia la piazza del Popolo, con un palco ottagonale in muratura nata agli albori del secolo scorso, avente la caratteristica principale di essere una cassa armonica “en plein air” per fare esibire la banda musicale nelle principali manifestazioni pubbliche e durante la festa patronale del paese. Ma poi quel palco ebbe destini i più diversi, come la presentazione dei sindaci al pubblico, l’esposizione dei proclami, la chiamata della popolazione a raccolta nei momenti salienti o difficili della città, divenendo quindi esso stesso protagonista storica della vita cittadina. Nata quindi per la musica, nel tempo ha esercitato un compito democratico avanzato, lasciando a chiunque libertà di espressione ed esibizione. Ma anche nei tempi più recenti essa ha dato la possibilità a diversi soggetti politici di parlare da quel pulpito, esprimendo quindi quella attività democratica esercitata dai Romani nei Fori, in ognuno dei quali vi era una tribuna (suggestum) da cui gli oratori arringavano la folla. Così è avvenuto anche recentemente, nella dura lotta della popolazione contro il mostro chimico ed il suo mortale inquinamento.
Ora quel pezzo di storia non c’è più. Al suo posto si ergono, come stalagmiti, palme e uomini, se non vogliono sedere ai tavolini che hanno invaso quasi tutto lo spazio, reso ahimé totalmente insignificante, essendo stati sacrificati perfino gli alberi. Né è venuto in mente a qualcuno che per interventi così importanti per la vita e la storia della città si imporrebbe la preventiva consultazione di cittadini e associazioni.

Io non dico che, come nell’antica Grecia, spetterebbe ai filosofi amministrare le città. Ma quando ci libereremo di un certo pragmatismo banale che non sa fare altro che scaricare cemento sulle idee, sulla storia e sulla bellezza delle nostre città?

 

 

 

 

 

 
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